Estratti da cataloghi

PRESENTAZIONI DEI TEMI MITOLOGICI PREMESSE A 4 CATALOGHI

Dal catalogo Immagini 1979-1984

Acque, anima, apparizioni

Acque, immobili piani di luce, miracolo di mondi capovolti adagiati su bianchi grembi di sabbie; seni virginei e fecondi cingenti recessi d’ombra, ferite silenti nel gorgo della roccia, che dondolio lenisce d’immemori alghe. Nera scivola prora frusciando per flutti di morte, ansia portando di prode narrate, traslucide polle al cui cavo germoglia erba di vita.

Sogno. Occhi sgranati su plaghe d’azzurro abbagliate di sole, abbraccio d’abissi ad accogliere sfuggenti creature dei boschi, fulgore di raggi stillanti tra rami distesi su balze di rupi. Schiuma lieve, crosciare d’argento che batte precipiti massi: destarsi dell’oro dei prati nel fitto dei tronchi, stupore di gelide conche. Sogno d’inerpici forre trapiombo sul mare, nebbie, vapori ondeggianti su canne sottili: levitare d’immobili uccelli stanchi di cieli lontani.

L’immagine sorta dal lago sorride. Addita luoghi dell’aria, ghirigori incantati, tremori di viola e fantasime: lacci lucenti che avvolgono profondanti dimore di cristallo. Ride negli occhi la morte innocente: desiderio insegue l’inganno e il nulla di lei, Melusina, memoria che intesse il nostro esser sogno, errante a notturni sentieri d’acque fonde.

Sale il vento del sud; porta sentore di fiori di prato e Daena, dai piccoli seni, piede leggero. Nubi azzurrine trascorrono, rotolando sfilacciano in cielo strade anelanti il giardino sospeso dei melograni, sacro giardino ove da sempre attende ai piedi dell’albero, all’eterna sorgente, la fanciulla in sé chiusa. Là, dove tutto ha misura e il passato specchia il futuro; dove il drago e l’eroe, la parola e il poeta si cercano: magiche fila intrecciate nel bosco del tempo.

Anima, acqua che sgorga e ribolle dal cavo di pietra, acqua che lenta pullula e spande l’opaco cobalto del botro; anima, acqua, memoria dell’Ade, palude, cipressi: e rossi papaveri a sera sfogliarsi in un brivido. Pudica, figge Arethusa, e sussurra tra i salici.>

Anima, bagliore che squarcia e richiude il buio destino, Euridice invocata, enigma che affiora e scompare; labirintica, labile Arianna lunare che guida e tradisce, che muore e che sorge in un cielo di isole. Noi, come foglie per lei, sempre nuova: vagante, tutta splendente infera Dea, astro dei folli che invita e atterrisce, filtro che uccide e risana, mano che annoda e che disfa.

Anima, vento nei pioppi, lucore di rive assolate, occhio ridente del mondo, nostalgia della sera. Brilla viva alla fonte l’immagine vana, e allude oltre l’umano ignote vie, umbratile amata, amante illusoria, Eco, miseria di Pan solitario, Morgana fuggente nell’aria di porpora.

Dipana l’acqua fluitando chiome di luce sottili; nuvole corrono lievi su candide ghiaie, su conche di verde e d’argento, negli occhi tuoi chiari che sognano il sogno dell’Essere: il sempre nuovo, eternamente eguale immoto andare.

E tutto appare, forse.

Gian Carlo Benelli
Roma, 23 Agosto 1984

Dal Catalogo Immagini 1984-1987

Perché l’acqua

L’acqua mi insegue; a notte filtra silenziosa dalla porta dei sogni, erpicata da abissi insondati, dalla buia conca che bagna le radici del mondo.

A goccia a goccia va ruscellando lieve al margine del bosco degli archetipi, giù dal pendio verde dell’infanzia ove la coprono, discrete, le felci dell’oblio.

L’acqua è stupore che bulica dal nulla e si specchia nel cielo; è trasparenza, inganno, opacità, riflesso: è risposta oracolare che non risponde, ma rinvia la domanda.

Perciò io inseguo lei nella fantasia, inseguo l’inafferrabile, la coda della sirena, il canto di seduzioni indicibili. E c’incontriamo, allora, nel Regno di Utopia; nel luogo che non c’è, ove s’entra nel sogno e ci si aggira senza mai procedere. Nel luogo ove lo spazio è illusione, è un rigirarsi sempre nel riflesso della superficie.

C’è, ch sa dove, un mondo capovolto che m’intrigò, fanciullo, nel grigio violetto degli stagni. Un mondo che sembrava ripetere il verde del prato alla riva, e i salici azzurri, e i platani un poco autunnali, e il rosso e l’oro di un sole già basso: ma così non era. Perché il più lontano era il più vicino; e ciò che era per fermo, or si allungava verso di me, ora si ritraeva, come ninfa ingannevole, al variar dei miei passi irrequieti. E ciò che pareva fronda svelava in trasparenza la ghiaia del letto; e il rosso e l’oro e l’azzurro posavano sul velo dell’alga e sul limo flottante, tremando al vento della sera; sì che il diverso poteva farsi anche eguale, ineffabile variazione sul tono melmoso del fondo, al variar della luce.

Ma non si poteva mai esser certi che l’inganno fosse nell’acqua, e il reale quassù. Perché l’immagine che mutava, mutava per il correr dei passi e il calare dei raggi, dunque il suo mutare non era suo, non sua l’apparenza. Avevo udito, al contrario, di reti lucenti che avvincono al fondo dei laghi e dei mari gli scrigni inesausti di ciò che brilla quassù.

Sì, forse è così. Fprse ho inseguito la mia immagine dietro lo specchio per tentar di raggiungerla, e lo specchio rimanda l’immagine proprio là, dov’ero quando credetti di scorgerla.

Forse, la domanda è la sola risposta alla domanda.

Gian Carlo Benelli
23 Settembre 1987

Dal Catalogo Immagini 1987-1991

L’angelo della sera

Sorge, l’Angelo della sera, dalle acque del sogno silenziose, affioranti al crepuscolo. Sale l’onda leggera nell’oro dell’ultima luce e copre i detriti del giorno d’un umido velo: traspare ondeggiante il ricordo come verde di alghe, un attimo appena: e subito profonda nel golfo insondato della notte.

Giù, sempre più giù nel golfo immenso dell’anima scende il ricordo e si copre d’un limo sottile, mota insidiosa del sogno d’onde suscita l’Angelo flottanti fantasmi. La mano sua lieve dischiude il giardino segreto che dorme nel fondo dell’anima, valle fiorita dell’Eden sospesa oltre l’azzurro di vette narrate, specchianti nell’acqua di vita; e vanno, i viandanti del sogno, oltre la soglia di luce, vestiti d’un soffio di vento nel mondo di immagini, sfogliando corolle riflesse in un’acqua di cielo.

Acqua del sogno non mai certa, dal buio labirinto dei fondali monta e s’insinua per confini ipotetici come una trasparenza cupa che inghiotte e dissolve. Acqua deserta, pulsa il respiro in lei di vita ignota, e alle sue rive appaiono sciami di Melusine seduttrici e materne, ingannatrici e feconde: dèmoni verdazzurri del desiderio mortiferi e ridenti.

Chiama nel gorgo Melusina, e addita il troppo bello, pegno d’un modo altro e non è più il limite, né la quieta certezza della forma. Perché il bello ha lo sguardo della morte e l’indicibile Medusa splende soltanto per il Dio: né mai torna chi la fissa nel volto. Lei, respiro del mondo che alita oltre ogni soglia; assopita al di là del vivente chiusa tra le parentesi dell’io; lei -non lei- gurda l’uomo attraverso lo specchio.

Non lei perciò potrà esser detta e soltanto l’immagine riflessa avrà la forma: nel chiarore dell’alba, quando l’Angelo si scioglie in barbagli di luce sull’onda che svapora.

Gian Carlo Benelli
16 Agosto 1991

Dal Catalogo Immagini 1992-1995

la fonte, il grembo

Alta, possente, immacolata, sorge la Dea che disseta e che irrora: fulgore delle cime, scintillio delle valli, bella, pura, irruente, gemma di vette sognate, ombrosa linfa segreta d’eterne primavere.

Alta, possente, immacolata, cinta di neve e di stelle, sgorga al suo gesto dal seno di roccia l’acqua che scende e tumultua, che larga si spande nel piano; ventre oscuro del mondo che nutre le oscure radici e sciorina colori e miracoli in gloria d’azzurro.

Quieta gorgoglia la linfa nel verde dei prati, ribolle lucente sul nero di viscide pietre, si stende su specchi di viola, su conche di cieli riversi: algali dimore nel fondo nascondono trepide Ondine.

Ondina è il messaggio abissale che affiora e scompare, che allude e s’immerge, soccorre ma fugge: mormorio d’una fiaba leggiero che trema nell’aria, che ascolta soltanto chi lascia il rumore, chi dorme, e riposa, in un cuscino d’erbe.

E narra, la fiaba, il ritorno tra i monti di luce, alla polla segreta, alla fonte; e narrando s’arrossa il vento della sera, tra le foglie già cupe.

Gran trionfo il tramonto, ultima gloria che accende con oro funereo deserte paludi, buia via del ritorno; ma se l’aria profuma, si desta il dormiente dall’erba, e sorride.

Sorride anche lei, la fanciulla dai piccoli seni, Daena la bella, l’amata che tende la mano all’amante, a chi la cercava nel sonno.

E l’immagine andrà nell’immagine, e sarà l’alba, e nel grembo la fonte.

Gian Carlo Benelli
4 Ottobre 1995

Per i legami tra l’arte, l’anima, l’acqua, la Memoria, l’Utopia, il mito e il mondo immaginale, vedere su www.giancarlobenelli.com Arte, Memoria, Utopia, in particolare il terzo capitolo